Banksy è ormai un'icona del marketing e del merchandising?
Da artista ribelle a brand il passo è breve, soprattutto quando si monetizza.
Questo non sarà l’ennesimo articolo o post su Banksy. Tutti conosciamo la sua storia ed è ormai un nome mainstream.
Per riassumere il suo percorso (o il loro percorso se si accetta l’ipotesi del collettivo artistico) basta leggere la Treccani.
Ma oggi la vera domanda da porsi è una sola. Dove finisce l’artista e dove inizia il fenomeno marketing? Ed è più un brand o un fenomeno artistico?
Tralasciando il giudizio artistico e la critica, tutta l’attenzione mediatica intorno al nome Banksy e le sue opere appare pianifica da un ufficio marketing.
Non si contano film, libri, cataloghi, mostre e merchandising. Spesso anche “non autorizzate” ma pur sempre utili a diffondere il brand senza spendere un penny.
Non si contano poi le mostre “non autorizzate” ufficialmente ma sul filo pur sempre dell’ufficiosità. Come a Trieste a cura di Gianni Mercurio o perfino al MUDEC di Milano (costretto a ritirare il merchandising della mostra).
Tutti casi che hanno fatto parlare dell’artista, ergo promosso lo stesso a costo zero.
Non mancano neanche gli appelli contro, come accadde con Guess.
Ma già 5 anni fa, dopo l’opera auto-distrutta da Sotheby’s molti artisti e professionisti del settore iniziavano a covare dei dubbi sull’artista come simbolo di ribellione.
Ma ovviamente non mancano, anzi, i sostenitori e gli ammiratori di un’artista capace di essere sempre sul pezzo.
Ma quindi? Banksy è arte o marketing?
Dopo Andy Warhol farsi queste domande ha poco senso. Nell’arte contemporanea l’artista è anche marketing, e gestire il suo brand con logiche aziendali.
Lo vediamo in Damien Hirst, in Jeff Koons e in decine di altri protagonisti. Anche nell’italiano Maurizio Cattelan, probabilmente oggi l’artista italiano vivente più conosciuto all’estero.
Quello che si deve realmente misurare per giudicare un artista contemporaneo è il grado di “influenza” che ha sulla scena. E Banksy ha ispirato decine di artisti più o meno famosi, anche se la sua arte è sempre più effimera e riproducibile.
Probabilmente ad oggi Banksy dovrebbe fare una scelta radicale, ovvero sparire. Interrompere la sua produzione e coltivare l’invisibilità.
Ma lo potrebbe fare? O contratti e monetizzazione lo stanno spingendo a diventare prodotto?
Preoccupazioni che non ha l’italiano BLU, vero simbolo dell’arte underground e non prodotto dell’art-marketing.
Cut and Run a Glasgow: prima mostra autorizzata in 14 anni
Ce ne sono state decine, centinaia, in tutto il mondo ma solo una è quella vera: in esposizione alla GoMA – Gallery of Modern Art di Glasgow, “Cut and Run” è l’unica mostra a essere stata autorizzata dallo stesso Banksy, la prima dopo 14 anni.
E anche Banksy è rimasto molto soddisfatto: «Grazie Glasgow, è stato fantastico», si legge sul sito dedicato alla mostra. «Vogliamo portare questa esibizione in viaggio ma non abbiamo idea di dove andare. Tu?» continua lo street artist anonimo, invitando gli utenti a inviare una mail all’indirizzo events@cutandrun.co.uk, con i suggerimenti per la prossima tappa, con la raccomandazione di includere, se possibile, anche alcune foto.
“Cut and Run” ha accolto un pubblico nuovo e diversificato, dagli alunni delle scuole elementari agli ottuagenari, da tutti gli ambiti della società e dagli angoli del globo», ha dichiarato il direttore del GoMA Gareth James, come riportato dall’Independent.
Visitatissima anche da star del calibro di Johnny Depp, la mostra sarebbe potuta diventare virale anche sui social ma sono state imposte regole piuttosto rigide sulle fotografie: tutti i telefoni cellulari dovevano essere custoditi in borse chiuse, su richiesta dello stesso Banksy.
…continua a leggere su Exibart.
Link utili
La carriera di Banksy (via Treccani)
Chi è Banksy (via Artàporter)
La mostra di Banksy a Trieste ad opera di Gianni Mercurio (via Il Piccolo)
Banksy al MUDEC e il diritto d’autore (via Artribune)
Banksy, marketing o arte (via Collater.al)
Banksy come padre nobile del Brandalism
Il Brandalism è un fenomeno partito nel 2012 dall’Inghilterra.
Cittadini aderenti all’iniziativa sono stati addestrati per imparare le cosiddette tecniche e tattiche di subvertising, l’arte di sovvertire pubblicità.
Travestiti da addetti alle installazioni di pubblicità esterne agiscono indisturbati in molte città del Regno Unito come Liverpool, Glasgow, Edimburgo, Manchester, Leeds, Oxford, Londra, Brighton, Bristol, Birmingham.
Brandalism parte dalla convinzione molto democratica che la strada sia un luogo di comunicazione, appartenente ai cittadini e alle comunità che vi abitano.
Una ribellione contro la dittatura visiva imposta dai giganti dell’advertising, colpevoli di mantenere una stretta mortale sui messaggi veicolati, alimentando le insicurezze, l’infelicità, e di conseguenza il consumismo.
Brandalism non è un progetto di auto-promozione, la firma di nessun artista compare sulle opere, lasciando spazio alle immagini che esplorano temi seri come il danno ecologico del consumismo, il debito pubblico, stereotipi di genere, il disastro del capitalismo finanziario, e la pervasività del messaggio pubblicitario.
Chi sono
Sono Dario Ujetto e scrivo questa newsletter da fine agosto 2022.
Ho 44 anni e da sempre sono appassionato di storie.
Sono co-founder della startup Artàporter e della società di consulenza Feelthebeat.
Scrivo storie di cibo su Eat Piemonte.
Operaio della comunicazione e del marketing, non chiedetemi mai consigli su carriera professionale o personal branding.
Non ho una carriera e sono un pessimo venditore di me stesso.
Mi trovate anche su Linkedin.
DIFFUSISSIMA sbarca alla Rome Future Week
Evento dell’11 settembre a Salotto42.
Guarda tutti gli eventi sulla pagina dedicata Rome Future Week.